
Al rientro dalla missione a Cox’s Bazar (Bangladesh) Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana, è stato intervistato da Affarinternazionali.it per fare il punto sulla delicata situazione delle persone in fuga dallo Stato di Rakhine. Si tratta di una delle peggiori crisi umanitarie di sempre che la Croce Rossa vive in prima linea, portando aiuti e assistenza.
I numeri
A fronte della prima domanda dell’intervistatrice riguardo la portata del fenomeno, il presidente Rocca spiega: “I numeri sono quelli più o meno noti; il 4 ottobre erano 507.000. Teniamo presente che ne arrivano migliaia ogni giorno e il flusso non si ferma. Ci sono circa 40mila persone nella no man’s zone, quella terra al confine tra il Myanmar e il Bangladesh. L’esodo è caratterizzato da condizioni assolutamente precarie; arrivano dopo un lungo viaggio, sono sicuramente disidratati, alcuni di loro hanno ferite, altri hanno problemi di alimentazione e arrivano senza nulla”.
Cox’s Bazar
Il presidente di Cri prosegue poi spiegando come in pochissimo tempo si sia sviluppata una città non in altezza, ma in estensione, di alloggi di fortuna, a Cox’s Bazar. Descrive uno scenario in cui è possibile camminare per ore circondati dalle stesse piccole capanne, abitate per la metà da donne e bambini.
La drammaticità della situazione
L’intervista prosegue con una riflessione sulla capacità del Bangladesh di sostenere la drammatica situazione e gli imponenti numeri. “Senza uno sforzo enorme della comunità internazionale – spiega Francesco Rocca – stiamo parlando del nulla: il Bangladesh non può reggere. Mezzo milione di migranti è un numero pazzesco: noi come Paese siamo andati in crisi per meno di 200.000 persone distribuite in un anno. Si pensi a mezzo milione in tre settimane in condizioni strutturali completamente diverse dall’Italia. Sono presenti sul campo tantissime organizzazioni che portano il loro contributo in maniera purtroppo ancora caotica. Ma il coordinamento è davvero difficile in quel contesto”.
La posizione dell’ONU
La disamina continua con una domanda circa la posizione dell’ONU, che ha definito la persecuzione dei Rohingya un “crimine contro l’umanità”. Riguardo a questo aspetto, Rocca ricorda che si tratta di un tema che spetta definire alle Nazioni Unite. “A me onestamente interessa avere accesso a queste persone, che hanno bisogno di tutto. Quello che diciamo è che le persone vanno protette, la dignità va protetta, spetta ad altri accertare di chi siano le responsabilità. A noi importa occuparci di chi è in una situazione di bisogno”.
L’azione della Croce Rossa Italiana
L’intervista chiude con una domanda sulle azioni della CRI, che sta già intervenendo con medici, infermieri e con cliniche mobili, partecipando anche alla gestione dell’ospedale da campo, una struttura da 100 letti, creato dalla Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, assieme a tutte le consorelle. La riflessione finale del presidente Rocca sulla situazione è netta: “Quello che salta agli occhi è la lentezza con cui la comunità internazionale agisce. Mentre si fa diplomazia e si cerca di comprendere la dinamica di alcuni eventi, ci sono persone che soffrono la fame, l’abbandono, la mancanza di servizi igienici. Serve alimentare la capacità di risposta e la preparazione a questo tipo di flussi. Sul movimento di popolazioni dobbiamo avere una riflessione a livello internazionale perché non avviene soltanto qui in Asia ma anche in Africa, ad esempio nel lago Ciad, dove decine di migliaia di persone sono sfollate. C’è una necessità di risposte che deve essere affrontato. Bisogna decisamente superare i limiti della politica”.
Photo Credit: Matteo Micucci/Croce Rossa Italiana
Per leggere l’intervista http://www.affarinternazionali.it/2017/10/rohingya-racconto-croce-rossa/