
Sono mossi dall’amore per la verità, senza infingimenti, senza paura e, talvolta, senza riguardi. E se la verità costa loro la persecuzione e la morte, la accettano. Questi sono i giornalisti coraggiosi che, spinti da una passione che sovrasta tutto, perdono – ormai troppo spesso – la vita per testimoniare quello che accade nei luoghi dei conflitti e della disperazione, in quei posti del mondo dove pochi si addentrerebbero. Esattamente come i tanti operatori umanitari del Movimento Internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa che diventano un target delle parti in conflitto. Martiri moderni della Verità e dell’Umanità. Per questo oggi voglio ricordare la “Giornata mondiale della libertà di stampa”.
La recente strage in Afghanistan
La celebrazione odierna è stata voluta dall’ONU per ricordare ai governi il dovere di far rispettare l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e festeggiare l’anniversario della dichiarazione di Windhoek, sui principi della stampa libera, emessi dai giornalisti africani nel 1991. Ma questo articolo 19 sembra sempre più ignorato. Solo di pochi giorni fa, infatti, è la notizia di nuovi attacchi a Kabul, in Afghanistan, dove ventinove persone hanno perso la vita: tra questi nove giornalisti, accorsi sul posto per raccontare l’ennesima strage. A colpire sarebbe stato un uomo che si è spacciato per uno di loro.
Gli ultimi agghiaccianti dati ufficiali rispetto al 2017
Negli ultimi 15 anni i giornalisti uccisi nell’esercizio del loro mestiere sono stati 1035. Sono 65 quelli uccisi nel mondo nel 2017, di cui 55 uomini e 10 donne. Lo rivela l’ultimo rapporto di Reporters sans frontières (RSF). Ventisei di loro hanno perso la vita lavorando per raccontare l’orrore della guerra, vittime collaterali di bombardamenti e attentati. Altri 39 sono stati assassinati, finiti direttamente nel mirino per le loro inchieste scomode su interessi politici, economici o mafiosi. La Cina è, ad oggi, il Paese con più reporter in prigione e alla Siria spetta il “record” per numero di giornalisti tenuti in ostaggio. Tra quelli uccisi nel 2017 ci sono 50 professionisti, sette blogger e otto collaboratori dei media.
I reporter rapiti
Sempre RSF, organismo che ha sede a Parigi, parla poi di 326 giornalisti detenuti nel mondo, 54 in ostaggio e 2 scomparsi. Gli altri quattro grandi ‘Paesi-prigione’ dei giornalisti sono Turchia (43), Siria (24), Iran (23), Vietnam (19). La Siria, definita nell’analisi “fabbrica di ostaggi stranieri”, è al primo posto con 29 ostaggi, di cui sette giornalisti stranieri. Seguono Yemen (12), Iraq (11) e Ucraina (2).
Le analogie con #NotATarget
La Federazione Internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFCR), che ho l’onore di presiedere, non a caso ha lanciato la campagna #NotATarget, volta ad aumentare la consapevolezza dei pericoli concreti che gli operatori umanitari affrontano per aiutare le persone in difficoltà e invitare i governi e le parti in conflitto a tutelarli, nel rispetto del diritto internazionale. Le analogie con i cronisti di guerra sono tante, ecco perché, oggi più che mai, è importante ricordare questa Giornata, drammaticamente tinta di sangue. Perché bisogna denunciare con forza l’intensificarsi delle violenze ai danni di chi sente il dovere di raccontare, così come di chi si mette al servizio dei più vulnerabili.
Photo Credit: Reporters sans frontières