Staccare un respiratore artificiale. Chiudere gli occhi davanti ai centri di detenzione libici. Bombardare luoghi fortemente popolati da civili o obiettivi non militari. Bloccare forzatamente esseri umani in condizioni inumane. Vendere armi che uccidono in Yemen. Ci sono decisioni che fanno la differenza tra la vita e la morte. Ci sono decisioni che possono causare sofferenze enormi a migliaia di donne, uomini e bambini.

Il tragico caso del piccolo Alfie

In questi giorni, come se ci trovassimo davanti a una partita di calcio, si sono create due fazioni avverse sul tragico caso del piccolo Alfie Evans: chi si schiera con i suoi genitori e vuole mantenerlo in vita, chi invece parla di accanimento e vuole spegnere le macchine che lo tengono in vita. Non è la prima volta che accade in Gran Bretagna: era già successo nel 2016 con il piccolo Charlie Gard.

Da un caso drammatico e che lascia senza fiato, si apre un circuito di dichiarazioni, proclami, dibattiti a livello internazionale. All’ultimo momento l’Italia decide di concedere la cittadinanza al piccolo Alfie nell’estremo tentativo di salvargli la vita o comunque per evitare la decisione dei tribunali britannici che avevano deciso per il distacco dalle macchine per evitare l’accanimento terapeutico. L’Italia si distingue così per essere una nazione che si schiera con i cosiddetti “pro-vita”. C’è chi in casa nostra ha festeggiato la decisione del governo, considerandola un grande atto di civiltà. Al momento non sappiamo se questa scelta salverà il piccolo Alfie.

Il diritto alla vita, per tutti

Con il massimo rispetto per il dolore che stanno vivendo i genitori del bimbo inglese, c’è qualcosa da aggiungere al dibattito. Tutti quanti abbiamo seguito con grande partecipazione la vicenda di Alfie come quella di Charlie e abbiamo parlato e discusso di diritto alla vita.

Ecco, se la vita è correttamente un diritto, dobbiamo ricordarci anche che le vite sono tutte uguali. E allora ci piacerebbe vedere tutti quelli che hanno seguito questi casi di attualità o quelli che hanno incensato il governo per la decisione sulla cittadinanza, fare lo stesso per ogni bambino che vediamo morire o soffrire atrocemente. Invece, molte volte, gli stessi tanto interessati ai temi della cosiddetta bio-etica sono quelli che poi voltano le spalle a chi muore in mare, a chi viene bombardato in Yemen o in Siria, a chi viene torturato in Libia, a chi viene trucidato in una delle tante guerre dimenticate nel continente africano. I bambini pagano drammaticamente sempre il pezzo più alto della cattiveria, della viltà e delle atrocità commesse dall’uomo in tutto il mondo.

Ogni neonato è un “Royal baby”

Ecco, noi vorremmo leggere lo sdegno che si trova in questi giorni su tutti i più famosi media occidentali anche per tutti gli altri casi in cui i più piccoli vengono uccisi, torturati, abusati. Vorremmo che la “notiziabilità” non fosse un canone applicato solo ad alcuni e non ad altri. Vorremmo che non ci fossero differenze tra vite di serie A e quelle di serie B. Vorremo che un bambino nato in Yemen o in Darfour non valesse di meno di uno nato in Inghilterra o in Italia. Invece scopriamo, sempre sui media occidentali, che un neonato appena nato, ma di sangue reale, riesce a essere più “notiziabile” del piccolo Alfie o di qualunque altro bimbo che soffre in giro per il mondo, proprio in questo momento. Ecco, vorremmo che ogni neonato fosse trattato come un “Royal baby”.

Photo Credit: Maria Novella De Luca