
A margine della sigla di 164 Paesi del Global Compact sulla Migrazione a Marrakech, Francesco Rocca traccia un bilancio dell’accordo a “Repubblica.it”.“Finalmente si comincia ad andare alla sostanza del problema – spiega Rocca ai telefoni della testata italiana – al centro c’è il rispetto per la dignità di ogni essere umano. Non si tratta di interferire nelle politiche interne, su come vengono protetti i confini o gestiti gli ingressi in un Paese, ma della dignità che ogni essere umano merita, a prescindere dalla ragione per cui ha lasciato il suo Paese”.
Perché la necessità del Global Compact
La riflessione prosegue con una valutazione sull’efficacia del provvedimento preso nella città marocchina e il Presidente CRI-IFRC rimarca che si tratta di una base per andare ancora avanti: “La gente continua a morire, a essere sfruttata, i minori continuano a essere violentati. Prendiamo la carovana dei migranti in Centro America verso gli Usa, abbiamo dati impressionanti: su cento minori che abbiamo intervistato, oltre settanta hanno subito abusi sessuali o violenze fisiche”.
Le posizioni contrastanti in Europa
Il giornalista ricorda poi che una fetta dell’Europa, centrale e orientale soprattutto, non ha voluto firmare il documento. “Io la interpreto come un’occasione persa. Molti hanno usato come alibi la ricerca di accordi bilaterali. Ma se c’è un contesto – sottolinea Francesco Rocca – in cui il criticato multilateralismo è importante, è quello delle migrazioni. Sono fenomeni che coinvolgono gli Stati d’origine, gli Stati di transito e quelli di destinazione (…) E poi nel documento del Global Compact non c’è nessun passo che parli di libertà dei migranti, di fare come vogliono: questa è solo retorica. Si tratta di evitare inutili sofferenze agli esseri umani”.
Le false preoccupazioni
Il presidente CRI-IFRC ricorda, poi, che non esistono elementi tra i 23 punti del testo che cozzino con la sicurezza dei singoli Stati: “Mi sforzo, ma non riesco a vedere nulla che possa preoccupare chi è in buona fede e ha rispetto per gli esseri umani. Nessuno ha mai parlato di dare il permesso di soggiorno a chiunque e dovunque. E la firma non obbligava nessuno”.
La stigmatizzazione dell’operatore umanitario
La lunga analisi chiude con il rischio per la “percezione” e l’identità stessa degli operatoriumanitari, i quali dovrebbero essere neutrali per definizione. “Salvare vite è stato stigmatizzato. Aiutare unmigrante è ormai diventato un atto politico. E questo a noi umanitari cispaventa. Siamo in difficoltà su questo: nessuno chiede all’autista diun’ambulanza o al vigile del fuoco di verificare chi è coinvolto in unincidente stradale o chi è in una casa in fiamme”.
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