Dopo avere raggiunto i 1055 metri di profondità, uno dei soccorritori di Marcinelle gridò, in italiano, “tutti cadaveri!”. Un urlo che mi fa rabbrividire, anche per l’assonanza con il motto di Dunant, “tutti fratelli!”. In quest’ultimo caso una sentenza che vede tutti, indiscriminatamente, accomunati nel soccorso. A Marcinelle, invece, si è trattato di una “fratellanza nella morte”.
La tragedia
L’8 agosto di 62 anni fa, nel 1956, il mondo assistette a una delle più grandi tragedie sul lavoro della storia. In una miniera in Belgio, nel Bois du Cazier, a Marcinelle vicino Charleroi, dove tanti andavano a “cercar fortuna”, un incendio provocò la morte di 262 minatori, dei quali 136 di nazionalità italiana.
L’accordo politico con l’Italia
Fu un accordo politico del 1948, siglato dai governi di Roma e Bruxelles, a portare decine di migliaia di italiani spinti dalla fame a lavorare nei pericolosi cunicoli delle miniere del Belgio. Braccia umane in cambio di carbone. Il Belgio si trovava in quegli anni, infatti, in una situazione opposta a quella dell’Italia, stremata da una guerra perduta. Aveva molte risorse e poca mano d’opera disponibile.
Le condizioni di vita dei minatori al Bois du Cazier
Sappiamo che i belgi trattavano i minatori più o meno come prigionieri di guerra. Si erano sentiti spesso chiamare “musi neri” o “sporchi maccaroni” nel caso degli italiani. Siamo nel 1956, ma le condizioni di vita riportano al periodo bellico: le baracche dove alloggiavano erano state utilizzate prima come lager dai nazisti e poi come campo di prigionia per gli stessi tedeschi.
Il contratto
Il contratto prevedeva un periodo minimo di un anno di lavoro, pena l’arresto. Per 8 anni e fino al giorno della tragedia, gli italiani lavorarono giorno e notte in cunicoli alti appena 50 centimetri a più di 1000 metri dentro le viscere della terra, spesso vittime di esplosioni o di malattie gravi come la silicosi.
L’incidente dell’8 agosto 1956
Nel pozzo N.1 della miniera, un impianto obsoleto del 1930, si verificò un incidente a un ascensore. Si trattò di un grave errore umano che innescò immediatamente l’incendio che invase le gallerie puntellate con travi di legno e prive di sistemi di sicurezza efficaci. La squadra di soccorso del Bois du Cazier distava 1,5 km dall’impianto. Non fu nemmeno fermato il pozzo di aerazione, fatto che contribuirà ad alimentare l’incendio ed i gas letali da questo sprigionati. Le fiamme furono domate solo 24 ore dopo. I superstiti, soltanto 13.
Quando il profitto prevale sull’Umanità
I quotidiani dell’epoca uscirono con l’agghiacciante titolo “Sono tutti morti“. Gli ultimi corpi furono recuperati soltanto il 22 marzo del 1957, mentre iniziava l’inchiesta sulle responsabilità della tragedia: nessuna tra le vittime ebbe giustizia né risarcimento. In questa orrenda vicenda, come troppo stesso accade, il valore del profitto è stato anteposto e ha soppresso il valore dell’Umanità. Noi abbiamo scelto di ricordare ogni giorno, anche a chi non vuol sentire, che questo è sbagliato, ponendo l’Umanità come nostro faro e come il primo dei nostri principi“.